TEMPO DI ZAMPOGNE

E’ il momento degli “zampognari”. Spinti da una antica cultura a percorrere le vie della emigrazione li vedevamo fino ad una decina di anni orsono  aggirarsi per le vie delle città del Nord  col loro strumento per cercare di raggranellare un qualche soldo. La crisi ha colpito anche loro che sono diminuiti numericamente pur apparendo qua e là provenienti dalle regioni del Centro – Sud. Mi chiedo se queste loro apparizioni sempre più sporadiche possano essere considerate “residui della tradizione”. Io non credo, penso che debbano essere considerate come “residui di una cultura che assomma la pratica della transumanza a quella del trasferimento di questua” ma che in ogni caso è spinta dalla conoscenza del territorio di questa gente e dalla loro  operatività economica. La tradizione non c’entra.

Compaiono invece sempre più spesso nei cartelloni concerti e manifestazioni folkloristiche di gruppi di “zampognisti”  che calcano le scene in teatri, circoli e quant’altro. Questi gruppi, che generalmente si presentano in costume pastorale, dichiarano di rifarsi alla tradizione (ma quale ?).  Sulla  bravura e sulla professionalità di questi gruppi non si possono fare commenti ma ciò che richiede una nota di chiarezza sta nel definire i concetti di “tradizione” ( parola che è a mio parere impropria e che puzza di “retrivo – nostalgico – ecc.” ) e di “cultura operativa” che da sempre muove le autentiche espressioni musicali delle classi popolari.

Bruno Grulli

 

5 pensieri riguardo “TEMPO DI ZAMPOGNE”

  1. Ma ha ancora senso parlare, oggi, di tradizione? Quando certi “riti” vengono decontestualizzati e pertanto svincolati dalle comunità e dai contesti sociali in cui nascevano, si sviluppavano e forse morivano?

    1. se noi diamo alla parola “tradizione” il suo giusto peso non ha e non aveva senso parlarne; è un “qualcosa” che avviene da tempo e con regolarità. I contesti configurano un discorso più ampio che tiene conto dell’economia e della collocazione culturale dell’episodio.

  2. riportiamo a tale proposito lo stralcio di un brano contenuto a pag. 2 della PdC n.8 del gennaio 2015

    “….. “Tradizionale” è una parola della quale andrebbe chiarito il significato. Gli attribuiamo semplicemente il valore “…. che avviene calendarialmente e regolarmente da tanto tempo…”. Oggi però si inseriscono nel “tradizionale” anche cose di recente origine, prive di un reale retroterra e fissate da esigenze commerciali o ludiche e pertanto ci chiediamo quale veramente sia la portata di quella parola. Optiamo dunque per una distinzione tra ciò che deriva dalla “cultura popolare operativa” e ciò che è “qualcosa d’ altro”. Le feste patronali, i balli antichi, la fiaba, ecc. a quale categoria appartengono?

    1. Le sagre, le feste patronali avvenivano spesso a conclusione di una stagione agraria e dei raccolto di un prodotto svolgevano un ruolo di aggregazione all’interno di una comunità Sono “cultura popolare operativa” come anche gli antichi balli che si svolgevano nelle feste. Dire che sono tradizionali significa non capire il motivo della loro esistenza……sono d’accordo Bruno.

      1. notevole DAVIDE ….”significa non capire il motivo della loro esistenza”….cioè le manifestazioni “tradizionali” ci sono e basta….senza connettersi alla economia ed alla cultura che ci sta dietro……..

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